22 giugno - 21 settembre, 2024
La terre est bleue comme une orange | Pier Paolo Calzolari
Galleria Mazzoli / Via Nazario sauro n.62, Modena
Nato a Bologna nel 1943, Pier Paolo Calzolari trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Venezia, il cui patrimonio artistico ed estetico lascia una traccia profonda sulla sensibilità del futuro artista. Nel 1965 realizza i primi lavori di pittura; nel 1966-1967 realizza la prima delle sue opere-performance,"Il filtro e Benvenuto all'Angelo", che coinvolge gli spettatori e che Calzolari stesso definisce una “attivazione dello spazio”. Tra il 1967 e il 1972 si muove e lavora tra Parigi, New York e Berlino e in questi stessi anni viene incluso nel movimento dell’Arte Povera. Dal 1967 utilizza oggetti e materiali (fuoco, ghiaccio, piombo, stagno, sale, muschio, tabacco) che conoscono una seconda vita accanto a elementi luminosi (come il neon). A partire dal 1972, si concentra sullo studio di una pittura anticonvenzionale giustapponendo segni pittorici a oggetti reali, portando il rituale della quotidianità sul piano dell’esperienza estetica e in rapporto orizzontale con il mondo e con la storia, pur cercando di mantenere un legame con il coinvolgimento fisico delle persone. Il suo percorso è caratterizzato da diversi elementi peculiari: la volontà di saturazione dei sensi, la modalità nel rendere visibili i dati del pensiero astratto e l’essenza delle cose, e l’attenzione rivolta alla fragilità di oggetti e materiali.
Vive e lavora a Lisbona.
COMUNICATO STAMPA
Pier Paolo Calzolari: La terre est bleue comme une orange, è la terza mostra dell’artista presso Galleria Mazzoli dopo le esposizioni del 1979 e del 1981. In questa occasione saranno esposti 14 dipinti di varie dimensioni e 4 disegni. Tutte le opere sono di recente realizzazione.
A corredo della mostra verrà pubblicato un catalogo in edizione limitata di 300 copie numerate con un saggio di Richard Milazzo, Il circo silenzioso: le rapsodie illecite ed inette di Pier Paolo Calzolari.
Nel saggio il critico americano, non amante dell’Arte Concettuale o del Minimalismo, descrive così il lavoro di Calzolari: «Benché io sia in qualche modo più indulgente nei confronti delle varianti europee delle modalità
tipiche di Minimalismo e Concettualismo, che in Italia sono note come Arte Povera, rispetto a quelle che descriverei come versioni aziendali di questi movimenti negli Stati Uniti, quello che sta alla radice della
confluenza di queste correnti nel lavoro di Pier Paolo Calzolari è l’antico atto della poiesis.
La differenza tra le due culture sta nella fede razionale e ideologica incontrollata nei materiali fini a sé stessi, fede che spesso negli Stati Uniti equivale a una sorta di materialismo, nel migliore dei
casi a un pseudo-anti-estetismo, nonostante la retorica della smaterializzazione. Calzolari invece, che non è inconsapevole della politica della sua epoca, soprattutto nel corso degli anni ’60 e ’70,
sospende questa credenza in favore di una fede cieca, una “cecità” esistenziale (sono parole dell’artista stesso), non solo nei materiali, ma nella scultura, nelle raffinate costellazioni ibride dei materiali
che animano le sue installazioni nel corso degli anni, e – punto più controverso ancora – nei dipinti, che vengono a trovarsi sia dentro che fuori da questi parametri, spesso
trasformandosi (come in questa mostra) a loro volta in un’installazione sui generis.
Prevalgono, nella pratica di Calzolari, i parametri post-installazione dei dipinti come forma d’arte praticabile, scevra da proclami eppure radicalmente sovversiva – vale a dire che i suoi dipinti sono più intimi
di quanto non permetterebbero le nostre aspettative, ma mai meno outré, o addirittura louche e auto-esiliati, qualità in ottemperanza con le quali la sua arte in ultima analisi esprime una realtà inconciliabile
e in-pacificabile.
[…] Calzolari ha sempre cercato la quiete radicale del numero minore, o quello che potremmo definire il “Circo silenzioso” dell’arte che supera sé stessa o di ciò che l’artista ha definito la
poesia del “canto sospeso”. Quando è stato costretto a frequentare la triplice pista di diverse Documenta, Biennali di Venezia e mostre in galleria, Calzolari lo ha sempre fatto come artista
del trapezio, lanciandosi attraverso il continuum spazio-temporale senza rete di sicurezza. Rischiando tutto nel nome della poeticità dell’arte, l’arte di fare arte, una forma di estasi creativa
tautologica, di sollievo o di liberazione.
Forse l’artista stesso si è espresso nel modo più calzante, quando nei primi anni ’60, quasi mezzo secolo fa, parlando dell’ “ospite importuno”, vale a dire della pittura, almeno dal punto di vista
di una pratica cosiddetta avanguardista (essendo l’avanguardismo spesso accademico e reazionario per natura) ha detto: “Negando la pittura mentre è ancor viva, lo si fa per desiderio di qualcosa
che bruci più ardente ancora della pittura, qualcosa che tocchi i ‘sentimenti’, l’impossibilità e l’emozione stessa”. E questo qualcosa è arte – scatenata, impropria, sconveniente, spesso assume la
realtà priva di forma, illecita, fuori luogo ed estatica dell’anima che esplode oltre se stessa in forma di poesia che mai saremo in grado di ridurre, nemmeno alle parole e nemmeno al sacro
(o dovremmo forse dire ipocrita) materialismo dell’arte».
catalogo mostra
Pier Paolo Calzolari | La terre est bleue comme une orange
Saggio di Richard Milazzo
immagini a colori
300 copie numerate
Pubblicato da Galleria Mazzoli. Modena, 2024.