• Language:
  • English
  • |
  • A -
  • A +
  • menu

    Buried Suns

    Shigeo Arikawa
    Febbraio 15 - Aprile 2019
    Buried Suns - Shigeo Arikawa
    Galerie Mazzoli // Eberswalder Str. 30, Berlino



    The work of Shigeo Arikawa (nato nel 1982 a Tokyo, Giappone) ha esposto in numerosi musei e istituzioni internazionali tra cui ricordiamo Aomori Contemporary Art Centre, Aomori, JP; Hiroshima City Museum of Contemprary Art, JP; Novosibirsk State Art Museum, RU; The Ring Gallery, Zagreb, HR; Galleria Mazzoli, Modena, IT; Galerie Helder, Den Haag, NL; Rijksakademie, Amsterdam, NL; International Documentary Film Festival Amsterdam, Amsterdam, NL; Cinéphémère, Parigi, FR, International Film Festival Rotterdam, NL; Vancouver International Film Festival, CAN; Hong Kong International Film Festival and at the Tokyo Photographic Art Museum, Tokyo, JP.



    COMUNICATO STAMPA
    Un uomo osserva il cielo attraverso le lenti di due telescopi. Si toglie la sua divisa da lavoro, sotto indossa un completo aderente verde che ricorda il green screen (una tecnica generalmente usata nelle produzioni cinematografiche per rimuovere o sostituire lo sfondo reale con un’altra immagine); egli assume una posizione verticale e, improvvisamente, incorpora quello stesso cielo che stava osservando poco prima. Un gruppo di ricercatori rimuove degli strani grumi dalle acque di una città senza nome. Numerose storie intrecciate, a volte sovrapposte, a volte in contraddizione tra loro. Un uomo vagabonda tra prati secchi e spiagge sabbiose, il suo interesse è risvegliato dalle pigne cadute al suolo. Sta cercando il posto giusto e lo trova: guarda dritto al sole e versa del liquido nero in un buco che aveva precedentemente scavato con le sue mani. Dopodiché lo seppellisce. Cosa stiamo guardando? Cosa possiamo scorgere in queste azioni?

    Le immagini possono avere un loro potere descrittivo, ma solo sulla mera superficie. Il loro supposto realismo è, in realtà, un’invenzione umana e ciò che spesso traspare dallo schermo è un gioco di ombre, o, come Stan Brakhage ha scritto, un contemporaneo mito meccanico. Uno sguardo più approfondito rivela che ogni immagine contiene molte possibili interpretazioni, almeno tante quante sono gli individui che stanno guardando ad essa. Tuttavia ci aspettiamo che le immagini in movimento ci narrino una storia che ci porti da qualche parte, come su un sentiero già tracciato. Il nostro sguardo esige uno scopo, un obiettivo, un fine. Il fatto che cerchiamo di comprendere il fine delle azioni messe in scena e che diamo per scontato che queste azioni debbano per forza produrre un risultato sensato, è un comportamento altamente influenzato dalle caratteristiche del nostro sistema economico e dal mercato del lavoro. Perciò guarderemo probabilmente a queste tre opere sullo schermo sentendoci disorientati, finchè non avremo trovato una risposta alla domanda iniziale: “cosa stanno facendo questi personaggi e perché?”.

    Con le tre video opere esposte nella mostra Buried Suns, lo scopo di Arikawa è di porre le basi per farci indulgere più a lungo in questo momento di disorientamento, di farcelo accettare, privando la nostra visione di qualsiasi precedente conoscenza o aspettativa. Il suo scopo è quello di creare un temporaneo cortocircuito che ci faccia capire o sospettare quanto inflessibile sia il nostro sistema di conoscenze e quanto rigide siano le nostre aspettative nell’atto del guardare. Lo fa utilizzando la particolare semiotica della narrazione lineare delle immagini in movimento – con personaggi, spazi, oggetti e azioni messi in scena. Infatti quando ci interfacciamo con una messa in scena nella quale esseri umani intraprendono un certo tipo di attività, tendenzialmente ci aspettiamo che si produca un risultato, un esito che risolva la situazione e che ristabilisca una sorta di ordine. Potremmo provare una grande resistenza interiore nel non cercare questo risultato finale.

    Le opere video in mostra, così come la più vasta produzione artistica di Arikawa, prova ad azzerare temporaneamente la nostra comprensione razionale (o funzionale) del comportamento umano – specialmente quella che concerne lo svolgimento di un’azione, e lo fanno mettendo in scena azioni senza uno scopo preciso che richiedono una temporanea sospensione della conoscenza, delle aspettative e persino delle convinzioni personali. L’originario interesse dell’artista nei molti modi in cui un’immagine può essere vista è compreso in una domanda più ampia: che cos’è la visione? O ancora più nello specifico: cosa vediamo veramente quando guardiamo delle immagini?

    Un atteggiamento implicito che dobbiamo assumere quando osserviamo le opere di Arikawa è che l’operazione del guardare un’immagine è sempre un’addizione di informazioni all’immagine stessa, operazione che non può essere altro che arbitraria. Aggiungere informazioni ad un’immagine significa farla funzionare secondo la nostra logica, che è però anche formata dalla nostra esperienza personale, educazione, background culturale, età, e persino umore giornaliero. Non c’è una soluzione facile per eliminare questo automatismo, ma un osservatore conscio di tale funzionamento può ancora sperare di aggirare la trappola invece di finirci dentro.

    Un esercizio che può risultare facile per evitare di cadere nel meccanismo di ricerca di uno scopo è quello di sottrarre informazioni, e viene direttamente dalla lezione del primo cinema sperimentale - disimparare a vedere, disallenare lo sguardo. In sostanza questi primi tentativi cinematografici erano indirizzati a contrastare la logica narrativa del cinema convenzionale e, facendo ciò, prendevano anche di mira la logica del suo mercato. Come Stan Brakhage asserisce poeticamente: “Si immagini un occhio non limitato da artificiali leggi prospettiche, un occhio non pregiudicato da logiche compositive, un occhio che non risponda al nome di una qualsiasi cosa ma debba conoscere ogni oggetto incontrato nella vita attraverso un’avventura percettiva” (Metafore della Visione, pubblicato nel 1960).

    Le opere che ci circondano in queste sale sono una luce puntata su questo processo. Ce lo fanno mettere in discussione e reagire ad esso. L’antico filosofo cinese Lao Tze è spesso citato per aver detto: “per raggiungere la conoscenza, aggiungi qualcosa ogni giorno. Per conquistare la saggezza, togli qualcosa ogni giorno”. La conoscenza – letteralmente l’addizione di informazioni – non deve essere confusa con la saggezza, più facile da raggiungere tramite un processo regressivo, processo che sappia sottrarsi all’attrazione gravitazionale delle cose (sia le informazioni che accumuliamo che gli oggetti che possediamo) e della stratificazione sociale, ordine che ci è stato imposto e che ha, di conseguenza, fortemente influenzato il nostro modo di vedere.

    Al contrario dei risultati visuali della maggior parte del primo cinema sperimentale, il lavoro di Arikawa mette in scena un mondo figurativo e spesso verbalmente sviluppato. Non ci induce ad abbandonare l’idea del significato, la struttura della prospettiva o la logica della composizione, ma si focalizza piuttosto sul bisogno di abbandonare l’uso razionale delle azioni messe in scena. In questo aspetto, il suo lavoro è leggibile sia come ricerca sulla visione che come un’indagine su come il nostro modo di vedere sia influenzato e guidato dalla stessa logica di mercato: utilità, efficienza e velocità soprattutto.

    Seppellire il sole potrebbe non essere l’attività più proficua o utile, ma i “soli sepolti” di Arikawa non sono metafore. Al contrario potrebbero essere più vicino ai MacGuffins di Alfred Hitchcock’s – oggetti centrali nella narrazione ma che non hanno un ruolo proprio né visibilità, anche se la storia si sviluppa grazie e attorno ad essi. Questi elementi, usati nella trama narrativa, non sono mai esplicitamente mostrati ma vengono delineati dagli effetti che hanno sulla narrazione e sullo spettatore. Lo stesso Hitchcock offre una spiegazione ermetica dei MacGuffins, perché l’idea è esattamente quella di evitare ogni descrizione esplicita, che potrebbe limitare la varietà di possibili interpretazioni dello spettatore. E, almeno nel film, questo genere di chiarezza non è sempre il miglior modo per definire la giusta visione di una pellicola.

    Il lavoro di Arikawa aspira a farci smettere di ricercare un esito, e allo stesso tempo, ci esorta a interpretare le cose che vediamo secondo il titolo di questa serie, (Re)interpretazione. Uno dei lavori inclusi nella serie, Gold Town (Città d’oro), è addirittura riferito ad una (Re)(Re)interpretazione - una meta-interpretazione, o un film come un labirinto, nel quale l’interpretazione è già parte del lavoro stesso, anche prima della visione dello spettatore. In questo lavoro ascoltiamo una narrazione verbale, realizzata tramite l’invito a un gruppo di spettatori di includere le loro interpretazioni mixate nel lavoro finale attualmente in mostra – il quale ora è qui per essere da noi nuovamente interpretato.

    Vanina Saracino

    Leggi seguito

    Chiudi

    Shigeo Arikawa Shigeo Arikawa Shigeo Arikawa




    IMMAGINI MOSTRA
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    Shigeo Arikawa
    + Shigeo Arikawa, Buried Suns (video stills), Galleria Mazzoli, Berlino 2019